La pronuncia milanese affronta il difficile tema dell'accreditamento scientifico dei comportamenti alienanti, nonché il problema dei rimedi assumibili in caso di effettivo riscontro della PAS.
La Ctu ha paventato il rischio di un diverso immediato collocamento della figlia senza un suo ancoraggio terapeutico forte e stabilizzato, ha ipotizzato solo all'esito del percorso di cura un possibile collocamento presso il genitore alienato ovvero presso una famiglia affidataria professionale.
Per il Giudice milanese "il
termine alienazione genitoriale – se non altro per la prevalente e
più accreditata dottrina scientifica e per la migliore
giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente
accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal
genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l'altra figura
genitoriale".
Le condotte materne hanno portato ad una condizione di forte stress nel padre e di pericolosa vulnerabilità nella figlia.
Affido ai servizi del Comune e collocamento provvisorio presso la madre, fondato
sulla possibilità per quest'ultima di recuperare la propria disponibilità all'accesso all'altra figura genitoriale.
Se nonostante gli interventi attuati permarrà una situazione di stallo senza una positiva evoluzione verso: visite libere del
padre, lettura realistica da parte della figlia della figura paterna, progressiva
presa di coscienza della madre rispetto alle proprie personali
difficoltà ed ai propri distorti convincimenti sul padre,
l'Ente affidatario dovrà prendere in considerazione un diverso
collocamento presso il padre o in regime di affido etero familiare
(famiglia affidataria professionale).
La pronuncia affronta altresì il tema, altrettanto foriero di contrasti giurisprudenziali, delle prescrizioni terapeutiche e lo risolve contrariamente a quanto enunciato da Cass. n.
13506 del 1^ luglio 2015 ed in aderenza invece ad una giurisprudenza di merito (Trib.
Roma 7 ottobre 2016; Trib. Roma, 13 novembre 2015,
rel. Galterio; Trib. Milano, sez. IX civ,
sentenza 15 luglio 2015, Pres. Servetti, est. Rosa Muscio): il diritto di libertà nelle cure incontra un limite nel diritto del minore ad un percorso di sana crescita.
Un invito giudiziale rivolto ai
genitori che, per quanto rimesso alla libertà di scelta dell'adulto
genitore, è pur sempre in funzione della tutela dell'interesse e
dell'equilibrio psicofisico del figlio minore, può avere delle
conseguenze per il genitore non responsabile, tutte le volte in cui
le sue libere legittime scelte si traducano in comportamenti
pregiudizievoli per il figlio.
Il ricorso ex art. 709-ter c.p.c. proposto dalla madre per
sentir condannare il padre alle sanzioni ivi previste è risultato
essere non solo palesemente infondato, ma imprudente e come tale fonte di condanna per lite temeraria ex art. 96 III comma cpc.