Art. 709-ter cpc: sanzione o risarcimento dei danni?
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Relazione tenuta dal Dott. Diego Gandini, avvocato,
Giudice Onorario presso il Tribunale di Alessandria, al convegno tenutosi a Genova il 25 marzo 2009
sul tema "La responsabilità nelle relazioni familiari".
Le forme processuali
(quali la semplificazione del rito, lo snellimento dell'istruttoria, la determinazione dei soggetti
del giudizio, i rimedi endo-processuali) è evidente come da sempre siano strumenti indispensabili di
cooperazione alla realizzazione delle finalità politiche della tutela sostanziale sottesa alle scelte
del Legislatore.
In
quest'ottica si possono leggere le numerose peculiarità che connotano il rito applicabile alle
controversie sull'"equa riparazione" del danno per l'eccessiva durata del processo (legge 24 marzo
2001, n.° 89, cd. "Legge Pinto"), in cui, alla funzione riparatoria del danno sono evidentemente
correlati obiettivi di politica giudiziaria.
Si pensi ancora alla singolarità del procedimento destinato al risarcimento
dei danni sofferti da una collettività di consumatori o di utenti, secondo le forme processuali della
cosiddetta "azione collettiva" (o "class action") di recente introduzione legislativa, in cui scoperta
appare la complessità delle differenti funzioni politico-economiche e della prevista efficacia della
misura risarcitoria regolata.
La stessa estensione delle forme del rito del lavoro [prima ai rapporti locativi – (legge
27 luglio 1978, n.° 392), quindi alle controversie agrarie (legge 03 maggio 1982, n.° 203), più di
recente alla tutela risarcitoria del danno da morte o da lesioni per effetto della circolazione
stradale [legge 21 febbraio 2006, n.° 102(1)] – o l'introduzione del c.d. "rito societario" [D.L.vo 17
gennaio 2003, n.° 5(2)], testimoniano di un diffuso ricorso alla modulazione delle forme del processo
come tecnica privilegiata della tutela civile dei diritti.
Correttamente rileva pertanto la Dottrina che, per certi
versi, l'uso (e forse l'abuso) delle strutture del processo civile (pur a fronte dell'ingestibile
effetto "inflazionistico" dei riti che ne deriva) o, meglio ancora, la duttilità delle configurazioni
procedurali come strumenti di promozione della tutela civile, "costituiscono fenomeni di fatto già
largamente visibili all'occhio dell'osservatore provveduto, e richiedono in primo luogo, prima ancora
di registrare il senso dell'eventuale fallimento degli obiettivi, il riconoscimento della
"strumentalità" (già) delle (stesse) forme processuali adottate, rispetto alle finalità di tutela
concretamente perseguite"(3).
Ed è proprio in quest'ottica, pertanto, secondo ormai invalsa consuetudine legislativa, che
la legge 08 febbraio 2006, n.° 54, "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento
condiviso", pubblicata sulla "Gazzetta Ufficiale" del 01 marzo 2006, n.° 50, non si limita a dettare
disposizioni di carattere sostanziale, ma provvede, all'art. 2, a fornire una nuova disciplina
processuale dei procedimenti in materia di separazione personale dei coniugi (che, ai sensi del
successivo art. 4, comma 2, risulta applicabile "anche in caso di scioglimento, di cessazione degli
effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori
coniugati").
Dovrebbero pertanto da questa angolazione riguardarsi le singolarità rituali delle azioni
esperibili ex art. 709-ter, comma 2, c.p.c. (precipuo oggetto della presente disamina), evidentemente
dirette (quantomeno sulla carta) al rafforzamento, od all'intensificazione, dell'effetto intimidatorio
connesso alla prospettazione del risarcimento del danno e di sanzioni quali danno quale possibile
conseguenza delle inadempienze genitoriali. Un'efficacia compulsiva che si avvarrebbe, accanto
all'immediatezza e alla contestualità della verifica processuale dell'illecito, del carattere
sufficentemente deformalizzato della pronuncia condannatoria.
leggi l'intera
relazione.
autore: cesare fossati
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